Bicilindrico, perché ma soprattutto quale?

I motori due cilindri hanno caratteristiche ben definite a seconda di quale impostazione gli si voglia dare. Ci sono marchi che ne hanno fatto il loro punto d’onore ed altre che producono moto a due cilindri in una fascia definibile facile o comunque dai costi di gestione limitati al massimo. Corposità ai bassi regimi, economicità, minor ingombro, primo step nella corsa dal mono ai pluri frazionati…chi più ne ha più ne metta, fatto sta che il bicilindrico ci piace, punto e basta. E nonostante il suo campo meno esteso dei tre o quattro cilindri in quando a modularità, va detto che svolge ampiamente bene il suo mestiere e quindi è in grado di soddisfare le più svariate esigenze.

Il problema per l’utenza è capire quale risponda al meglio alle proprie di esigenze mentre, per quanto riguarda le competizioni, l’eccessiva specializzazione racing di alcuni modelli rispetto ad altri complica non poco la vita per stilare i regolamenti.
Se facciamo un giro per negozi piuttosto che andare in uno di quei mega saloni che oggi forse hanno perso un po’ di smalto e di numeri, potremo verificare che dall’Aprilia fino alla Yamaha, tanto per rimanere in ordine alfabetico e non altri criteri, molte aziende hanno o avevano un due cilindri pronto all’uso. Diverse le fasce di utilizzo ed il mercato di riferimento, andiamo da quelle più economiche e robuste a quelle più sofisticate, da quelle di maggior cilindrata senza velleità sportive fino a quelle che nascono racing e del twin hanno fatto la loro bandiera. A questo punto scatta anche un’altra differenziazione che è dovuta al numero delle valvole, al tipo di raffreddamento e quindi alla cilindrata che porta o meno ad un livello superiore che non è detto si traduca in maggior potenza: una HD piuttosto che una Yamaha Xv950 non sono certo moto pistaiole nonostante la generosa cubatura, ma hanno il loro fascino e soprattutto il loro folto pubblico.

yamaha xv

Insomma, due cilindri per tutti i gusti, ma come si traduce questo se entriamo nell’abito delle competizioni su pista, come incasellare le tante anime twins sullo stesso palcoscenico di gara? Domanda alla quale si può rispondere solo mettendo i puntini sulle i: la storia delle competizioni a due cilindri ha sempre lasciato spazio alle elaborazioni ed alla voglia di inventare dei vari preparatori che nel tempo sono stati l’anima dei vari trofei; l’essere categorie stile “gp” ma su una base povera, ha dato una caratteristica ben precisa a queste competizioni che da ben 25 anni sono “altro” rispetto al panorama nazionale; la presenza in casa di una marchio come la Ducati che del twin ha fatto il suo cavallo di battaglia e che sforna mezzi già performanti senza dimenticare l’ingombrante after market, rende difficile regolamentare per consentire l’accesso anche ad altre aziende.

motore desmo
Ad una prima analisi potremmo dire che ci sono almeno tre livelli: quello più facile, con le potenze minori che abbraccia moto con propulsori fino a 6 – 700 centimetri cubi e annovera tra i suoi vantaggi costi ridotti all’osso, usura delle parti deteriorabili minore data la minor potenza, e per contro può soddisfare di meno i vogliosi di potenza pura; quello che parte da una base due valvole e rimane in questo ambito permettendo elaborazioni solo fino ad una certa cilindrata, una certa misura dei corpi farfallati e solo con un certo alesaggio al fine di rendere inutili tutti i dispendiosi interventi con materiali preziosi o chissà quali altre diavolerie; quello che ammette mezzi anche pluri valvole ma limita la cilindrata piuttosto che altre caratteristiche come il peso per non divenire una sorta di sport production con le difficoltà che emergono in termini di controlli e di tradimento del principio del “libero elaboratore in libero stato”. Quest’ultima ipotesi permette di limitare i costi perché parliamo di moto che si trovano a buon mercato e che soprattutto hanno una gestione ridotta in quanto già dotate di propulsori potenti. Se parlassimo solo di Ducati, questo significherebbe Monster max 696 per la prima fascia, elaborazioni dei 1100DS per la seconda ed infine 848 come se piovesse nella terza. Ma se volessimo altro, se l’obiettivo fosse, anzi deve essere, una griglia multi razza? Sulla seconda opzione la storia dimostra che si può lavorare in tal senso lasciando un maggior margine di manovra alle moto a cardano o a cinghia: la situazione forse più imbarazzante si ebbe con la MGS 01 e la guida di Gianfranco Guareschi. I due erano inarrestabili ma forse più per una capacità tutta del Guaro di domare la bestia piuttosto che uno strapotere della Guzzi: Veghini, sulla stessa moto, andava infatti forte ma era più umano. Per il resto desmo + trasmissione a catena hanno sempre rappresentato un vantaggio e questo va tenuto in conto per non fare un monomarca Ducati.

mgs
Il massimo, per soddisfare tutti i palati e tutte le esigenze, potrebbe essere la nascita di tre gruppi ben definiti che abbiano tre spazi diversi e non un’unica gara perché tutti i bicilindrici possano avere la propria dimensione senza differenze eccessiva da uno all’altro. Un’ipotesi ardita forse, che potrebbe avere bisogno inizialmente di una convivenza forzata per portare poi ad un gruppo nutrito di partecipanti. Bisogna avere coraggio però per seguire questa strada, comprendere che la ricerca dell’ottimo per tutti prevede un minimo di adattamento iniziale per poi…poi ne vedremo delle belle!